Douala-Bafoussam, 21 dicembre 2005

Sono circa le 5 del mattino e siamo in partenza per Bafoussam, la città più importante del Camerun Orientale.
Il nostro mezzo di trasporto è un autobus, esattamente quello che tutti vorrebbero prendere per girare in Africa: bagagli, merci e animali sulla cappotta, gente assiepata, un brulicare di venditori ambulanti che cercano di venderti di tutto pur di guadagnare qualche soldo e il caldo soffocante e umido dell’estate tropicale.

bus-afrique-2Il tempo secondo i Camerunesi

Io e Giovanni, che non smette un minuto di fotografare, siamo felici, anche se un po’ provati dal viaggio e dalle emozioni degli ultimi giorni. Per me, in particolare, quest’esperienza è un’assoluta novità ed è già avventura.

“Qui in Camerun sembra che il tempo sia dilatato.
A volte, sembra persino non esistere.

Ci troviamo nel piazzale delle corriere in attesa di partire.
Nonostante l’ora, il luogo è gremito di gente, piccoli baracchini e tantissime merci sparse ovunque.
L’autobus c’è ma sembra non ne voglia sapere di muoversi.

È incredibile come il tempo qui sia dilatato. Mi azzarderei quasi a dire che il concetto di tempo qui non esiste. Sì, perché impareremo a nostre spese, dopo due ore e mezzo di attesa, che qui si parte solo quando l’autobus è pieno.

Sembra che nessuno si preoccupi di come stiano le persone stipate dentro a questo fatiscente veicolo, con il caldo che comincia poco a poco a farsi sentire. Almeno le galline, caricate sul tettuccio dentro alla loro cesta di vimini, un po’ di refrigerio riescono a trovarlo. Ma questo non è un problema per gli organizzatori del viaggio.
Per loro prima di tutto vengono gli affari.

Finalmente una voce si leva, urlando. “Nous ne sommes pas des animaux!” non siamo animali, grida una donna. Ma il conducente se ne infischia.
Finalmente l’autobus è pieno e tutte le merci sono caricate. Si parte.

Un viaggio di 6 ore, ma ci si consola con i “bagigi” (arachidi)

Il viaggio è faticoso. Il conducente dell’autobus corre, noncurante delle buche e dei dossi.
La schiena duole credo a tutti. Ogni tanto rallentiamo. Non si tratta di fermate per far scendere o salire persone. Sembra piuttosto una cortesia: per noi affamati e assetati e per chi, fuori dall’autobus, ci viene incontro con leccornie di ogni genere: mais, patate, plantain fritti, acqua, frutta, spiedini di carne. Ma la pipì però non è prevista.

Qui lo street food non è una tendenza del momento. È il modo normale che i camerunesi hanno di mangiare. Si spende poco e il cibo è ottimo e molto vario.

Attraverso i finestrini dell’autobus alcuni ragazzini ci passano qualche frutto, dei bagigi (arachidi) e dell’acqua in cambio di poche monete.

Giovanni prendere i suoi adorati “arachid”, mentre io, cui è proibito quasi tutto per via del mio intestino delicato e dell’acqua di qui che noi bianchi non siamo abituati a bere, mi concedo un “fruit blue”, una specie di prugna quasi nera, soda e con un osso grosso e scuro all’interno. Avrò modo di pentirmene…

streetfood-3

A Bafoussam, nel paese dei Bamiléké

Arriviamo a Bafoussam dopo 6 ore di viaggio, sbattuti e impolverati.

Bafoussam è la città principale della regione ovest del Camerun, sorge tra i monti Bambouto ed è il centro principale del gruppo etnico dei Bamiléké a cui David e la sua famiglia appartengono.

In realtà “Bamiléké” non designa esattamente il gruppo di popolazioni che abitano queste zone, perché solitamente esso coincideva col nome della “chefferie” di appartenenza, ovvero quei piccoli regni sotto la guida di un capo tradizionale che raccoglievano e raccolgono ancor oggi intorno a sé, nuclei di persone divisi in lignaggi, clan, sottoclan.

Il nome “Bamiléké” è la deformazione del termine “Bambale-keo”, che significa “le genti che vivono in basso”, con cui genericamente gli abitanti di queste zone venivano indicati.

Ad accoglierci nella sua casa di Bafoussam è Daniel Tengui, lo zio di David, che ci ospiterà per qualche giorno.
La prima impressione è che la casa non sia particolarmente pulita né curata. Non capisco se si tratti di una questione di soldi o semplicemente che a loro non importa di avere una casa sporca e in disordine. Propendo per la seconda ipotesi.

La nostra stanza sembra parecchio malandata: i muri, che dovrebbero essere di un bel celeste polvere, sono invece ritoccati qua e là da pennellate grossolane di bianco giallognolo e marronastro.
La vasca è lurida e incrostata, quasi come le vasche di certi bagni inglesi.
Il muro è popolato da animaletti di specie diverse, in particolare di ragni dall’aspetto poco raccomandabile.
È una sensazione un po’ fastidiosa che mi allarma e mi agita. Ho paura di tutto e soprattutto di entrare in contatto con tutto, ma cerco di controllarmi.

I nostri ospiti sembrano sulla difensiva e un po’ impacciati. Solo Giovanni e David sembrano rilassati.
David è chiaramente felice. Lui e Daniel non si vedono da quasi 10 anni.
Daniel non uno zio “qualunque” e i suoi figli, che sono davvero tanti, per David non sono solo cugini.
David ha vissuto la sua adolescenza con loro, è cresciuto in questa casa e la sua stanza conserva ancora il ricordo della sua vita in questi luoghi, con i suoi libri, i suoi oggetti, i poster dei suoi cantanti preferiti, gli stessi che adoravo anch’io e che spopolavano negli anni ’80.

Mi rendo conto che il nostro più grande problema è la lingua. Sono sicura che se riuscissimo a comunicare in modo adeguato tutto sarebbe più semplice.
Madame Tengui, Marceline, sembra diffidente. Cerco di mostrarle la mia gratitudine e soddisfazione di essere loro ospite. Sembra che il ghiaccio si rompa quando le faccio complimenti per la cena a base di fagioli, pesce con fagiolini al pomodoro, ignam (una specie di patata che solitamente viene lessata), anguria e bignè. Tutto davvero buonissimo.

La famiglia di David a Bafoussam

 

Post correlati

Camerun, coeur d'Afrique Racconti dal Camerun

Author Silvia Pittarello

Viaggiare è una palestra dove allenarsi alla tolleranza, all'umiltà, alla gestione del tempo. Viaggio più che posso e quando mi fermo scrivo, per raccontare viaggi, storie di impresa, di cultura e di scienza e organizzare e veicolare contenuti per interfacce web e mobile, come fa un bravo content specialist col pallino per il copywriting e lo storytelling.

More posts by Silvia Pittarello