Oggi arriveremo a Santo Stefano di Cadoreultima tappa del nostro bellissimo giro in bici dalla Baviera alle Dolomiti. Ma oggi sarà anche la volta del Kreuzbergpass, il Passo Monte Croce Comelico, 1600 m di altezza per un dislivello di circa 500 m. Non sono tanti, ma sono faticosi. Conosco bene queste zone e il primo tratto, in particolare, è il più tosto.
Ma intanto ci godiamo l’ultima parte della Dobbiaco-Lienz, e poi San Candido, e le belle Sesto e Moso. E intanto ci pregustiamo i porcini presi da mio padre ed egregiamente preparati da mia madre.
Mamma, papà, stiamo arrivando :)

Il ciclotour di oggi

Partenza: Sillian
Destinazione: Santo Stefano di Cadore
Mezzi: bicicletta
Km in bici: 47,5
Totale salita: 777 m
Totale discesa: 937 m

Tappe

  • San Candido
  • Sesto
  • Moso
  • Passo Monte Croce Comelico
  • Santo Stefano di Cadore

Da Sillian a San Candido: un po’ di riscaldamento prima del grande Passo ;)

In leggera salita, con qualche piccolo strappo, l’ultima parte della Drauradweg fino a San Candido.
Frotte di persone, in groppa alle loro bici, sfrecciano lungo la Dobbiaco-Lienz, disordinati nei loro movimenti e non troppo rispettosi verso chi proviene dalla direzione opposta.
È buffo vedere tutti quei bimbi, con le loro piccole bici, seguire, tra l’esitante ed il seccato, i loro genitori che sfoggiano un sorriso a 32 denti. “Suvvia, ragazzi, muovetevi. Questo giro, in fondo, lo facciamo per voi” dicono gli adulti ai loro piccoli. Ma i piccoli non sembrano convinti e, rassegnati, riprendono a sgambettare veloci sui loro minuscoli pedali, assecondando i giochi dei grandi.

A San Candido imbocchiamo velocemente una strada nel bosco, al di qua del fiume e della strada dove corrono le macchine, e ci avviamo in direzione di Sesto e di Moso, ultimo paese della Val Pusteria, prima di intraprendere la salita al Kreuzbergpass.
Questi luoghi li conosco molto bene, ma è la prima volta che li vedo dalla bici.

“In sella alla bici ogni tuo pensiero è un pensiero meditato”

Non avrei mai pensato di potercela fare. Le strade di montagna sanno essere terribili, soprattutto quando non hai motivazioni e sei fuori allenamento.
Le motivazioni per me sono il raggiungimento di una meta, innanzitutto, e la consapevolezza delle mille avventure che sempre ti capita di vivere lungo il tragitto. Senza contare il fatto che quando sei in sella alla bici ogni tuo pensiero è un pensiero meditato, a ritmo di pedalata, quando, certo, non sei troppo sotto sforzo. Perché invece, quando sto faticando molto ciò che riesco a fare è contare, per darmi un ritmo e dirmi “vai avanti”, e respirare profondamente in modo cadenzato, come se stessi praticando una specie di mantra. E in questo gran contare e respirare, dopo un po’ mi rendo conto che i miei pensieri non sono più pensieri, ma nuvole leggerissime, quasi vuote, e tutto sembra facile. È davvero una sensazione incredibile. Chissà se questa cosa si avvicina almeno un po’ alla meditazione.

La pista nel bosco di San Candido non è confortevole e così decidiamo di prendere la strada principale, dove corrono le automobili.
L’asfalto è nuovo e di quelli nerissimi e quasi senza attrito. A Sesto e a Moso ci arriviamo velocemente.
È passato da poco mezzogiorno. Ci sarebbe piaciuto comprarci un po’ di bretzel e qualche puccia, ma qui i negozi chiudono alle 12 e scopriamo che il nostro panificio preferito si è spostato altrove. Meglio! Saremo più leggeri.
Senza indugio, decidiamo di prendere di petto il salitone che porta al Kreuzbergpass, il passo Monte Croce, e solo dopo aver raggiunto la cima, di fermarci per un po’ di ristoro.
Più facile a dirsi che a farsi. Fino ad ora la strada ha avuto un andamento costante ma quasi sempre in salita. Non siamo proprio freschissimi, anche se finora abbiam percorso pochi chilometri.

Perché esistono salite così ripide?

Vedo l’inizio della rampa e mi appresto di buzzo buono ad affrontarla. Mammamia che fatica.
Cerco di non mollare, per la mia dignità, per la gente che può vedermi e le macchine che ci sfrecciano accanto. Ma, caspita, mi chiedo perché costruire una strada così ripida?! Ricordo che, neopatentata, venivo spesso da queste parti con la mia Alfa Romeo, e ogni volta che si trattava di tornare indietro, verso il passo, ero terrorizzata all’idea di iniziare la salita e non riuscire a portare l’auto ad un pendenza che non mi facesse scivolare all’indietro.
La sensazione in bici è la stessa: mi sembra di esser ferma e di faticare tanto solo per non arretrare.
Il primo chilometro e mezzo della salita al Kreuzbergpass è davvero molto duro. Ci fermiamo almeno due volte, anche se Giovanni mostra segni di dissenso. Certo, lui ha ragione a dire che fermarsi troppo poi ti taglia le gambe. Ma il problema più grande per me è respirare.
Mi libero di un litro e mezzo d’acqua per alleggerirmi. Non cambia tantissimo, ma è meglio di niente.
Il fatto è che anche quando viaggio in bicicletta non riesco a rinunciare ad un guardaroba adeguato… e tutti sanno cosa significhi “adeguato” per una donna. Consapevole di questo, mi prendo le mie responsabilità, anche se Giovanni più volte si è offerto di distribuire con lui i miei pesi.
Il peso lo avverto per lo più quando mi metto in movimento, quando cioè la bici deve prendere l’abbrivio, e in questi casi, quando la salita è tale che pedali solo per rimanere fermo in equilibrio.

A forza di pensare a queste cose, di contare, di fermarci e poi respirare a ritmo di pedalata, finalmente la salita comincia ad addolcirsi.
Ce l’abbiamo fatta. Ora c’è sempre una certa pendenza, non è facilissima, ma almeno procediamo.
È difficile rendere a parole la sensazione di “risveglio da un incubo” come quello che abbiam vissuto durante questa salita, che sembrava sfidarti senza tregua né scampo. Ma poi, quando finalmente ti accorgi che stai andando a 8km/ora invece che a 4, ti sembra di volare e… beh, ti senti un dio.

L’importanza di un kit di riparazione

Circa due chilometri più in là, incrociamo due ragazzi a piedi, bici al seguito e facce sconsolate.
Sono due giovani tedeschi di una cittadina vicino a Brema. Uno dei due ha bucato e chiaramente è triste. Dalla somiglianza sembrano gemelli. Ci fermiamo chiedendo cos’è successo. Ci dicono, comfermando l’evidenza, che hanno bucato. Offriamo loro di aiutarli a riparare la ruota. Si illuminano.
Io e Giovanni innanzitutto ci copriamo: abbiamo da poco superato quota 1500, il sole è di nuovo sparito e fa decisamente fresco. Cominciamo quindi le operazioni. Giovanni è superattrezzato, che quasi mi sorprendo: camera d’aria di riserva, che tuttavia non servirà perché la mtb dei ragazzi ne monta una di misura diversa, leve per sganciare il copertone della ruota ed estrarre la camera d’aria, kit di riparazione fornito di carta abrasiva, colla, patch.
Il buco in realtà è un taglio di mezzo centimetro. Lucas, uno dei ragazzi, ci dice che la ruota ha battuto con violenza su di un sasso. Ripariamo, gonfiamo un po’ ma poi scopriamo che c’è un altro taglio, altrettanto grande. Ripariamo anche quello, rigonfiamo un po’ per effettuare un test. Stavolta sembra che tutto funzioni. Rimettiamo la camera d’aria nel copertone, incastriamo questo al cerchione, riagganciamo la ruota alla forcella posteriore e gonfiamo la ruota completamente.
I ragazzi sono chiaramente imbarazzati ma felici di poter evitare di farsi i prossimi chilometri a piedi. Non sanno come ringraziarci, Lucas e Felix. Diciamo loro di mandarci una cartolina dalla loro città e di andar piano. Le ruote son riparate, sì, ma meglio stare attenti.

Ci rimettiamo in moto anche noi. Ormai al passo non manca molto: solo un ultimo dislivello di 100 metri. No problem: la salita procede morbida e senza strappi.
Gli alberi cominciano a diradarsi e finalmente davanti a noi si apre la piana del Kreuzbergpass, il passo Monte Croce. Ce l’abbiamo fatta!

Santo Stefano di Cadore. Finalmente a casa

Ci fermiamo a mangiare un panino e a bere qualcosa di caldo. Qui a 1600 metri fa freddo.
Il barista che prende la nostra ordinazione è un giovane sulla trentina, biondo mesciato, occhi azzurri vispissimi, ma contusi. Gli chiediamo cosa gli sia successo. Ci dice che ieri è caduto dalla bicicletta ed era senza caschetto. “Fortuna”, dice, “che il crac che ho sentito, dopo esser volato a terra, non era il rumore della mia spalla che si rompeva, ma dei rami che si stavano spezzando sotto al mio peso, ah”. E scoppia in una sonora risata. Lo guardiamo stralunati e scoppiamo a ridere anche noi. Figo quel tipo, ma matto come una capra.
Ci dice che per raggiungere Santo Stefano di Cadore, la nostra meta, ci vorrà circa un’ora.

La strada è tutta in discesa, salvo un pezzo tra Padola e Dosoledo, un falsopiano che mi fa piangere. Sì, perché la tensione lungo la discesa dal Passo è stata davvero grande e le gambe per tutto il tempo si sono mosse solo per poche pedalate grazie all’abbrivio preso, sicché arrivati al falsopiano, zac, le gambe han ceduto. Fortuna che è durato poco.

 

Author Silvia Pittarello

Viaggiare è una palestra dove allenarsi alla tolleranza, all'umiltà, alla gestione del tempo. Viaggio più che posso e quando mi fermo scrivo, per raccontare viaggi, storie di impresa, di cultura e di scienza e organizzare e veicolare contenuti per interfacce web e mobile, come fa un bravo content specialist col pallino per il copywriting e lo storytelling.

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