Bafoussam 29 dicembre 2005

La notte è stata difficile. Brutti sogni, ansia, forse perché la sera prima ho mangiato troppo, come al solito.
Qui in Camerun mangiare è un grosso problema. Eppure, dall’esperienza che sto facendo, quando si mangia si mangia tantissimo.
Verdura, legumi, tuberi di ogni tipo (patate, karou, patat, macabo) plantin fritti, lessi, arrosto e poi insieme pesce e carne. È incredibile.

La giornata prevede la visita alla Chefferie di Foumban.

La Chefferie di Foumban

La Chefferie di Foumban

Le Chefferie sono dei piccoli regni formati da villaggi e paeselli, più o meno grandi, con una organizzazione interna tutta loro, capeggiata da una “roi”, detto sultano nella Chefferie di Foumban, che nel 1918 scelse di aderire alla religione musulmana.

A Foumban visitiamo il Palazzo Reale con il museo costruiti all’inizio del Novecento dal re Njaya, un sovrano illuminato.

Il museo è notevole per il luogo in cui ci troviamo, un piccolo segnale di civiltà in questo viaggio davvero impegnativo, socialmente, ecologicamente, culturalmente, umanamente.

Danze matrimoniali alla Chefferie

Danze matrimoniali alla Chefferie

La visita inizia con la presentazione di alcuni strumenti musicali coi quali suonano una danza matrimoniale. Poi inizia la visita vera e propria che culmina al museo. Un signore anziano, magro, molto simpatico, ci accompagna e ci fa da Cicerone per un pezzettino. Poi ci affibbia alla guida in inglese. Peccato! Il suo francese era chiarissimo e lui era una persona davvero curiosa.

All’uscita della Chefferie ho mal di testa e sono stanca. Ma un incontro molto particolare riesce per qualche momento a distrarmi.
Accanto alla porta della Chefferie incontriamo una signora anziana, probabilmente cieca, seduta a terra e appoggiata alle mura della Chefferie.

Il "roi" della Chefferie di Foumban

Il “roi” della Chefferie di Foumban

Veste un abito blu a disegni arancio. Il suo volto serafico, il suo naso aquilino, l’espressione intensa mi ricordano quelli di mia suocera e improvvisamente mi rendo conto che molti volti africani, che trovavo stranamente familiari, lo erano davvero. Facce, lineamenti, espressioni,… se si riesce a guardarli al di là del colore della pelle e dei caratteri tipici della popolazione di appartenenza, possono avere davvero tratti comuni. E se col pensiero provi a lavorare di morphing, alla fine scopri quante somiglianze ci siano tra un bianco e un nero, anche della tua stessa famiglia. E così, ora, nell’anziana signora di Foumban rivedo mia suocera, in certi sguardi e in certi gesti di David rivedo mio fratello, in Teo rivedo Enzo, …

Ci avvicinano i soliti venditori: “vieni a vedere questo, compra quello”. È difficile far capire loro che non c’interessa quel che ci propongono. Ma sono insistenti. La cosa mi pesa perché non so come dovrei comportarmi. Sono donna: sto in disparte, oppure faccio come farei Italia, ovvero dico loro di andare a quel paese o cerco di trattare finché capiscono che non sono interessata? È tutto molto faticoso. In più c’è pure da stare attenti che non ti derubino. Pare siano abilissimi.

Suonatori di tamburo ai festeggiamenti in onore del roi della Chefferie di Foumban

Suonatori di tamburo ai festeggiamenti in onore del roi della Chefferie di Foumban

Insomma è tutto molto costoso in termini psicologici, emotivi.

Andiamo verso il mercato. È pieno di gente. In piazza c’è il re. Fotografiamo e filmiamo. Qui finalmente nessuno sembra protestare. Ci guardano incuriositi.

Il sole è forte e io mi sento sempre peggio. Giovanni si perde tra i commercianti.
Finalmente andiamo a bere qualcosa. Avevo sete. Marceline, moglie di Daniel, che lavora all’ospedale di Bafoussam, mi dirà che forse ero in crisi ipoglicemica.

Giriamo ancora un po’ e si apre la caccia alle maschere etniche, una passione di Giovanni. Ne vuol comprare alcune. Non abbiamo molti soldi con noi. David ce li sta centellinando. Ha paura che ce li rubino.

Venditore di maschere a Foumban

Venditore di maschere a Foumban

Io mi innamoro dei cosiddetti “passapporti”. Sono delle mascherine in terracotta usate esattamente come fossero le fototessere di passaporti, come dei documenti di riconoscimento, insomma. Cerco quelli più vecchi. Li trovo. Ne compro due. Purtroppo li perderò lungo il viaggio, lasciandoli chissà in quale albergo camerunese.

La guida, Mustafah, ci porta a visitare un grande baobab. Giovanni fa un po’ di foto. Io sto sempre peggio.
Avremmo dovuto essere accompagnati da un’altra guida, tale Mouche Mame, ma per un problema di ricezione dei telefonini non siamo riusciti a contattarlo per l’appuntamento.

Lo incontriamo nel pomeriggio e ci obbliga a seguirlo perché vuole a tutti costi accompagnarci da qualche parte.

Venditore di tuberi a Foumban

Venditore di tuberi a Foumban

Ci porta nella zona degli artigiani. Visitiamo un altro museo, meno interessante.
Ci accompagna da qualche venditore. Fine! Non ha fatto nient’altro che quello che avremmo fatto noi seguendo i suggerimenti della guida. Alla fine ha voluto 5000 CFA per niente. Ma tant’è. Si trattava solo di € 7. Giovanni era molto seccato.

Quando Giovanni capisce che sto davvero male, usa me come scusa per tornare a casa.
A casa ci rilassiamo e scambiamo qualche idea su questo viaggio assurdo.
Siamo d’accordo sul fatto che è come se fossimo due pacchi postali: destinazioni ignote, modalità del viaggio ignote, orari quasi ignoti. Ma tant’è.

Author Silvia Pittarello

Viaggiare è una palestra dove allenarsi alla tolleranza, all'umiltà, alla gestione del tempo. Viaggio più che posso e quando mi fermo scrivo, per raccontare viaggi, storie di impresa, di cultura e di scienza e organizzare e veicolare contenuti per interfacce web e mobile, come fa un bravo content specialist col pallino per il copywriting e lo storytelling.

More posts by Silvia Pittarello