Yaounde 25 dicembre 2005

Ieri abbiamo festeggiato la vigilia di Natale al ristorante La terre d’Eden con David, Bertrand, René, Albertin, Platini. Donne nessuna tranne me.
Le donne mancavano: dovevano accudire i figli? Forse, o forse semplicemente, qui la vita è cara e uscire con tutta la famiglia può essere davvero molto costoso.
Forse l’ospitalità africana si manifesta così, col sacrificio di qualcuno pur di accogliere nel migliore dei modi il proprio ospite.
Eppure mi chiedo se la società locale sia maschilista, anche se mi mancano molti, troppi elementi per farmi un’idea più precisa.

Ho avuto modo di osservare i gesti delle donne della famiglia di David. Sono servizievoli e sembrano dare priorità agli uomini della famiglia piuttosto che a se stesse.
L’organizzazione famigliare sembra di tipo patriarcale, quantunque il ruolo delle donne sia molto forte e spesso centrale.
La mia sensazione è che il ruolo della donna nella famiglia, e forse nella società, sia simile a quello delle leonesse in natura: rispettano il ruolo di capo, il leone, ma sono loro a svolgere tutto, spesso anche il lavoro del capofamiglia, come nel caso madame Mapoko e di Madeleine, una zia di David.

Oggi è Natale anche qui. Tutti sono vestiti a festa. Più che un Natale sembra un ultimo dell’anno!
Indugiamo, io e Gio, a letto fino a mezzogiorno. Ci riposiamo. Speriamo che David ci chiami. Nonostante il giorno di festa lui sta facendo affari. Vuol comprare un terreno dove costruire appartamenti e fare business.
Io e Giovanni decidiamo di uscire, soli questa volta, ovvero senza guardie del corpo.
Lentamente ci dirigiamo verso la casa di Bertrand. Le persone non possiamo fotografarle, per motivi religiosi e… per business. Qui la gente ha capito che può concedere fotografie a pagamento.

Troviamo un albero stupendo. Lo fotografiamo. Alcuni ragazzi si fermano, ci dicono che non possiamo fotografare l’albero. È sacro e in tal modo potremmo rubargli l’anima. Giovanni inizia una lunga ma tranquilla discussione con i tre ragazzi. Non sono in malafede, credono davvero che a fotografare l’albero gli si rubi l’anima. Alla fine facciamo amicizia. Loro sono Charles, Patrice, Raphael. Ci chiedono se abbiamo amici in Camerun e se vogliamo avere amici camerunesi. Non rispondiamo sì af entrambe le domande. Loro rispondono: “e allora perché non possiamo diventare amici tra di noi?”
Sono carinissimi. Ci siamo scambiati gli indirizzi. Manderemo loro le foto dell’albero sacro.

Passiamo il pomeriggio in famiglia, da Bertrand. Assieme a Gaitan, Pierre e i bambini. Poi arrivano a Adeline, Nana e un sacco di altra gente che impareremo a conoscere e che incontreremo di nuovo lungo le nostre peregrinazioni, di famiglia in famiglia.

La sera festeggiamo da Madeleine. Lei è un fiume in piena. È una signora sulla cinquantina, assolutamente indipendente e intraprendente. Sorella di Esther, cognata di David, commercia in polli. Ne ha 1500 e fa tutto da sola. Una vera imprenditrice. È divorziata dal marito, e vive in una casa molto grande e molto bella di sua proprietà.
È curiosa e ha voglia di raccontarci di lei. Ma vuol anche sapere di noi e del commercio in Italia.

Madeleine conosce il capo di una Chefferie. Sarà lei il nostro nulla osta per una visita.
Mia madre infatti, mi ha chiesto di portarle delle perle africane.
Madeleine ci racconta che solitamente le perle sono usate dalla moglie più importante del capo di una Chefferie come oggetti ornamentali per i capelli. Sono considerate una specie di gioiello.
Lei ne possiede e ce ne mostra qualcuna. Sembrano fatte in pasta di vetro, un vetro pieno, colorato e opaco. Sono davvero belle.

Mangiamo, la tavola è imbandita, ma c’è posto solo per gli ospiti. La padrona di casa cede il suo e cena sul divano.
La cortesia di questa gente, la loro attenzione, sono disarmanti.  È facile entrare in sintonia con loro, è facile volergli bene.

L’accoglienza e gli arrivederci ne sono un altro, magnifico esempio. Ci baciano, solitamente 4 volte!…alla francese. Ci abbracciano senza nessuna riserva, ci stringono, come fossimo amici intimi. In quell’abbraccio sembra vogliano comunicarci tutto il calore loro e della loro terra. C’è da commuoversi.

I bambini, poi, sono unici, anche e soprattutto i più piccoli.
Ti vedono, ti guardano appena un po’ stupiti e incuriositi, ti sorridono, ti invitano a prenderli in braccio.
Se stai mangiando, vogliono condividere il tuo pasto, come un genitore fa col proprio figlio, o un cucciolo con la propria madre, allungando il collo e aprendo la boccuccia vorace.
Amano, anzi adorano, farsi fotografare e si divertono un mondo quando mostri loro le loro facce catturate dal display della macchina fotografica. A quel punto un coro di “ancor, ancor” sale e ti assalgono per averne altre, di immagini, da guardare, studiare, per poi riderci su.

Author Silvia Pittarello

Viaggiare è una palestra dove allenarsi alla tolleranza, all'umiltà, alla gestione del tempo. Viaggio più che posso e quando mi fermo scrivo, per raccontare viaggi, storie di impresa, di cultura e di scienza e organizzare e veicolare contenuti per interfacce web e mobile, come fa un bravo content specialist col pallino per il copywriting e lo storytelling.

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